Roma, 10 novembre- (di Giulia Lucchini)- “La parola sheikha in Marocco è diventata un insulto. Per me invece queste donne sono delle vere e proprie eroine con le loro canzoni di resistenza e emancipazione e volevo ridare loro un ruolo, una voce e una dignità”. Così il regista Nabil Ayouch che ha presentato in anteprima al MedFilm Festival il film ‘Everybody loves Touda’. Il film dopo essere stato presentato all’ultimo festival di Cannes è il candidato agli Oscar 2025 per il Marocco come miglior film straniero e uscirà al cinema nei primi mesi del 2025 con Maestro Distribution.
La storia racconta di Touda, interpretata dalla bravissima Nisirin Erradi, una sheikha, ovvero una tradizionale cantante marocchina che porta in scena i testi delle fiere poetesse che l’hanno preceduta. Ogni sera lei si esibisce nei bar di provincia sotto lo sguardo lascivo degli uomini, sola e con un bambino piccolo sordomuto, sogna di lasciare il suo piccolo paese per trasferirsi a Casablanca, dove spera di essere riconosciuta come una vera artista.
“Questo film nasce da un sentimento di ingiustizia che ho provato per come la società marocchina vedeva queste sheikha- racconta il regista-. Sono combattenti politiche che hanno avuto un ruolo centrale nella nostra società. Sono comparse nel XIV secolo, ma non potevano cantare in pubblico. Poi sono scomparse per cinque secoli e riapparse alla fine del XIX secolo e hanno iniziato questo canti politici e militanti di rivendicazione e di liberazione contro il potere e contro i signorotti locali. Nel 1950 queste donne sono passate dalla campagna alla città, ma la percezione della loro immagine è passata dall’essere considerate delle attiviste all’essere viste come delle donne facili”.
E la protagonista Nisirin Erradi dice: “Ho lavorato a lungo con delle sheikha, insegnanti di canto, musica e percussione. Un lavoro per cui ho dovuto studiare molto, ma bello e utile. L’amore che Touda ha verso la musica e suo figlio sono fondamentali e costruiscono la sua identità e le permettono di stare nel mondo”.
E ancora il regista: “Non volevo fare un film binario, manicheo, con donne eroine da un lato e uomini negativi dall’altro. Ho raccontato questi uomini nei bar che le guardano solo per il loro corpo. Ma nella storia ci sono anche tre personaggi maschili positivi che la supportano: il violinista che la accompagna, il padre di Touda che la incoraggia a diventare un artista e suo figlio, la sua ragione di vita. È un film che tratta il tema dell’emancipazione, della libertà femminile sganciata dallo sguardo maschile. Queste non sono questioni solamente marocchine, ma sono al contrario tematiche universali che toccano tutti i paesi e non solo il pubblico maschile. In Occidente si pensa che certe battaglie femministe siano scontate, ma non sono acquisite invece. Lo vediamo in Italia e negli Stati Uniti per esempio sul tema dell’aborto”.
Infine conclude: “Questa è la storia di un lungo viaggio. Touda attraversa momenti di bellezza e di squallore. Fanno parte dello squallore gli sguardi degli uomini. Della bellezza invece la musica, suo figlio, la natura rigenerativa e la lotta che lei conduce. Lei sta cercando la sua libertà amorosa, sentimentale e sessuale e questo è un desiderio che ho messo in tutti i miei film”.