Roma, 16 ottobre- (di Giulia Lucchini) “La felicità non è prodotta dalla competizione, si sta meglio quando si condivide”. Parola di Elio Germano protagonista del film d’apertura della 19esima Festa del Cinema di Roma: ‘Berlinguer La grande ambizione’ nei panni del segretario del più importante partito comunista del mondo occidentale negli anni settanta con oltre un milione settecentomila iscritti e più di dodici milioni di elettori, tutti uniti con il desiderio di realizzare il socialismo nella democrazia.
Diretto da Andrea Segre e in uscita al cinema il 31 ottobre con Lucky Red il film racconta gli anni dal 1973, quando Berlinguer sfuggì a Sofia a un attentato dei servizi bulgari, attraverso le campagne elettorali e i viaggi a Mosca fino all’assassinio nel 1978 del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.
“E’ stato un lavoro molto lungo- racconta Segre- Lo avevo in testa nascosto da tanto tempo. Ero sul set di ‘Welcome Venice’ quando mi è venuto davvero in mente. Ho sfogliato un libro di Piero Ruzzante sugli ultimi giorni di Berlinguer e lì ho deciso di fare questo film molto timidamente. È incredibile che il cinema italiano non abbia ancora raccontato non solo Berlinguer, ma quel popolo, quel terzo di italiani che hanno vissuto all’interno e intorno al Partito Comunista Italiano”. E poi: “Non volevamo fare un biopic, ma volevamo raccontare un momento chiave della storia di Berlinguer e di quel popolo. Gli anni dal 1973 al 1978 ci sono sembrati i più importanti per ripercorrere quell’esperienza del nostro paese. Quando il PCI era il più grande partito comunista nell’occidente e questo già di per sé costituiva un problema per tutto l’occidente. La sfida è stata quella di unire repertorio e messa in scena. Fin dall’inizio costituiva un mio pallino. Consapevole dei rischi perché rompevo il confine tra verità e finzione. Ma è un elemento potente. C’è stato un grande lavoro da parte sia degli archivisti sia dei montatori. Il film che ci ha guidato fin dalla scrittura è stato ‘Milk’ di Gus Van Sant”.
Nel cast anche Elena Radonicich, Paolo Pierobon e Roberto Citran, rispettivamente nei ruoli della moglie di Berlinguer, ovvero Letizia Laurenti, Andreotti e Aldo Moro.
“Non è stato un lavoro di invenzione abbiamo cercato di desumere- dice Elena Radonicich– Ci siamo confrontati con i figli che ci hanno raccontato episodi della loro vita familiare e molti dettagli e ci hanno aiutati a costruire una figura che fosse il più viva possibile. È stato un processo lungo”. E Roberto Citran: “All’inizio quando mi è stato chiesto di interpretare Moro ho avuto una prima reazione di spavento. C’erano state molte interpretazioni eccellenti prima della mia. Il rapimento di Moro è stato per la mia generazione un momento di grande smarrimento. Ha segnato un momento di rottura, qualcosa si è spaccato. Il rischio era quello di fare un’imitazione, io ho cercato di ridare l’immagine di Moro quale uomo forte e determinato che si assume il peso della responsabilità di alcune scelte. È esistito un Moro stratega”.
Sul processo di immedesimazione nei panni di Berlinguer, Elio Germano racconta: “Ho cercato di approfondire le questioni di cui era portatore. Ho dato cercato di non forzare le cose da una parte all’altra. Io credo nella comunicazione inconsapevole dei nostri corpi e in questo caso il suo raccontava un senso di inadeguatezza, di responsabilità e di peso. È stato davvero una forte fonte di ispirazione perché raccontava molto anche non volendo fare imitazioni”.
Sul paragone tra i politici di quel tempo e quelli di oggi. “C’è una deriva della società, non solo dei politici- risponde Germano-. Oggi c’è una visione molto più individualista. Anche i medici pensano più al profitto che a curare le persone. Idem gli insegnanti. Per non parlare della nostra categoria”. E Segre chiosa Berlinguer seguendo il ragionamento di Elio Germano: “Gli automatici meccanismi del mercato così li definiva Berlinguer. C’è un aumento dell’attenzione e dell’interesse privato delle proprie carriere”.
Il titolo poteva essere La grande illusione per quell’Italia che avrebbe potuto essere.
“Quella stagione ha prodotto dei risultati importanti nella storia d’Italia aldilà del successo o meno di Berlinguer- dice Segre-. L’incontro tra la sinistra e la DC ha prodotto una serie di riforme importanti tra cui per citarne una la riforma della sanità pubblica. Quel grande del titolo gramscianamente vuol dire: non solo io ma di tutti. Una dimensione dell’agire sociale e politico che si è un pò persa, quel sentire una condivisione”.
Infine Elio Germano conclude: “Oggi si parla solo di leader e leaderismo, ma siamo sicuri che la risposta sia lì? Berlinguer era un segretario, uno predisposto all’ascolto che faceva parlare molto gli altri. C’era una modalità di assembleare i vari punti di vista e collettiva di risolvere le cose. Si ascoltavano tutte le sezioni anche più piccole. Il film non ha mai pensato alla situa politica odierna. Penso che la questione della grande ambizione sia viva perché tutti possiamo pensare alle nostre piccole ambizioni, modello della destra che si sposa con quello del mercato. L’alternativa è mettersi a disposizione della comunità e la possibilità di un mondo migliore”.