Venezia, 7 settembre- “Dedico questo premio alla memoria di Giovanbattista Cutolo. La sua è una vicenda che ci ammutolisce. Nella mia città, Napoli, si trova tutto quello che c’è al mondo: il dolore e la gioia, la violenza e la speranza. L’unico modo per uscirne è l’incontro”.
Con un pensiero rivolto al ventiquattrenne napoletano ucciso all’alba del 31 agosto durante una lite per un parcheggio, in occasione della Mostra del Cinema di Venezia, Mario Martone ha ricevuto il Premio Robert Bresson, il riconoscimento, giunto alla ventiquattresima edizione, conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo, con il Patrocinio del Dicastero per la Cultura e l’Educazione e del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, “al regista che abbia dato una testimonianza, significativa per sincerità e intensità, del difficile cammino alla ricerca del significato spirituale della nostra vita”.
Un premio che onora un autore colto, poliedrico, non incasellabile nei tradizionali schemi della critica italiana: “Ho avuto tante esperienze bellissime a Venezia – ricorda il regista – dalla Biennale Teatro nel 1982 al mio debutto cinematografico nel 1992. Ma non mi aspettavo un’emozione del genere. È un premio che ti pone delle domande: la mia storia è politicamente lontana dal mondo cattolico, è chiaro che quando ho ricevuto la notizia mi sono sorpreso. Le domande hanno anche delle risposte, quindi sono molto contento di questa apertura così importante. Oggi c’è un Papa, Francesco, che ha un’importanza enorme per tutti noi: abbatte frontiere, fa incontrare esseri umani. In un momento così difficile, come dimostra la tragica vicenda del giovane Cutolo, ci fa capire quanto l’incontro sia l’unica cosa che abbiamo”.
A fare gli onori di casa, allo Spazio Cinematografo di Ente dello Spettacolo, mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e direttore della Rivista del Cinematografo. E il presidente della Biennale, Roberto Cicutto, che ha sottolineato l’alleanza tra l’Ente dello Spettacolo e l’istituzione da lui guidata: “Credo che l’Ente dello Spettacolo somigli al senso della Biennale: è un luogo di dialogo e dove non c’è mai nulla di scontato. E se noi siamo il posto della diplomazia culturale, l’Ente lo è della diplomazia spirituale. Qui si viene per discutere, imparare, dialogare e si affermano i valori più alti: la libertà, il dialogo, l’accoglienza. E si esce da qualsiasi paletto di competenza”. E sul premiato: “Ogni tanto, da presidente, mi trovo alle prese con qualche conflitto d’interessi affettivo, perché ho a che fare con persone alle quali sono stato vicino nella mia attività da produttore. Mario è uno che crea forti rapporti umani, come Tilda Swinton e Jane Campion. E i rapporti creano anche discussioni: speriamo che continuino e non vengano affidati a algoritmi. Gli scioperi degli sceneggiatori pongono temi veri, perché hanno a che fare con la creatività: si cerca di sotterrare quella piccola parte di divino che c’è in ognuno di noi”.
A celebrare Martone anche Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra del Cinema: “Mario Martone merita come pochissimi altri questo premio: è un autore che sa dialogare con i temi più significativi della realtà umana. Mi piace ricordare che ha esordito proprio a Venezia con Morte di un matematico napoletano, che fu distribuito dall’attuale presidente della Biennale, Roberto Cicutto. Mario è uno di quei rari artisti che riesce a lavorare a trecentosessanta gradi avendo come obiettivo il dialogo tra le arti. Grazie all’Ente dello Spettacolo che continua a essere una presenza fondamentale e accompagna la Mostra del Cinema”.
Presente anche Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede: “Questo è un evento molto importante per noi. Ed è molto importante essere in questo luogo. Qui si può capire come la bellezza dell’incontro tra fragilità ti aiuta a vedere oltre: perché nella fragilità c’è l’arte. Il Dicastero per la comunicazione non si occupa solo di notizie ma anche di immagini: l’arte del cinema aiuta a ricostruire un mondo diviso. Perché la comunicazione non è solo giornalistica: è umana e non artificiale”.
Sul palco con Martone, sua Eminenza il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, omaggiato anche dal presidente Cicutto (“Grazie a lui, la Santa Sede è tornata alla Biennale, nelle sezioni Architettura e Arte, con un padiglione all’Isola di San Giorgio”). “Le opere di Martone – ha affermato Tolentino nella sua laudatio – sono spesso sofisticati congegni di montaggio che ci restituiscono il senso di una totalità e risolvono dentro la propria parabola narrativa le incongruenze della vita, senza cancellarle. Le speranze tradite dei giovani rivoluzionari di Noi credevamo, gli atti mancati del poeta tormentato ne Il giovane favoloso, il tarlo della frustrazione che impedisce la piena realizzazione dell’artista di fama in Qui rido io: rappresentano i vuoti di ogni esistenza. Ma il cinema di Martone sa riappianarli con l’aiuto della poesia, l’intelligenza dell’ironia, l’elastico del giudizio. Nella plancia della Storia intravede lo sconosciuto timoniere che riporta l’insostenibile casualità delle cose sull’invisibile rotta. E così le vicende, anche le più tragiche, come quelle del matematico suicida (Morte di un matematico napoletano), si rivelano degne, esperimenti del vivere in pienezza sempre validi ancorché fallaci, perché misurati col metro fuori grandezza del sentimento della solidarietà umana. La sua opera è un continuo sconfinare tra le forme del cinema e del teatro, che si spinge sempre oltre, verso il luogo nell’anticamera che precede ogni definizione. Nello scandaglio interiore dei suoi personaggi avvertiamo l’epifania di un’intima disappartenenza, la soglia di un’identità non risolta, interrotta. E insieme la tensione di un suo avveramento. Verso quel punto ignoto in cui sembra declinare il suo cinema. La promessa che esiste ed esisterà sempre qualcosa da riconquistare”.
A consegnare il premio, insieme a Sua Eminenza il cardinale José Tolentino de Mendonça, la senatrice Lucia Borgonzoni, sottosegrataria di Stato al Ministero della Cultura, il cui impegno è stato sottolineato dal presidente Cicutto (“In anni non facilissimi come quelli della pandemia, ha dedicato molta attenzione al cinema. Insieme, nel 2020, siamo riusciti a fare la Mostra in presenza”). “Martone non è solo un artista che riesce a immergersi nelle storie, nelle emozioni e nelle persone – ha affermato Borgonzoni – ma riesce anche a farci immergere con lui. Ci sono registi bravissimi che sanno dare alle immagini una bellezza unica, ma non è detto che sappiano trasmettere anche quella poesia che ti tocca l’anima, ti fa riflettere, ti interroga, ti pone domande su come far dialogare l’io e l’altro, chi ci sembra lontano e in realtà è più vicino di quanto crediamo. Penso che la missione del cinema sia proprio questa. E Martone è un artista poliedrico che ci ha aiutato a comprendere meglio noi stessi”. E sul tema dell’intelligenza artificiale toccato da Cicutto: “Martone ci mette il cuore, la passione, una visione. Tutte cose che una macchina non può dare. Può elaborare, anche per un’infinità di volte, ciò che oggi esiste, ma non potrà mai vedere cosa accadrà poi”.
Il Premio Robert Bresson – realizzato quest’anno da Pianegonda – rappresenta una tappa fondamentale per Martone: “Au hasard Balthazar e Il diavolo, probabilmente sono tra i miei film preferiti. E quando in Francia uscì Morte di un matematico napoletano, una rivista di critica scrisse che suggellava l’incontro impossibile tra Bresson e Eduardo De Filippo. Una volta, Bernardo Bertolucci mi raccontò una conversazione che ebbe con Bresson, gli chiese se ci fosse un film che amava. Lui disse di no e, dopo una pausa, rispose secco: ‘Forse qualche inquadratura di Chaplin, ma dove lui non recita!’. Nella catena di cineasti che mi hanno preceduto – ma anche in Io, capitano di Matteo Garrone, che ho visto ieri – mi accorgo che ci rivela una serie di domande che può dare senso a momenti difficili come quelli che viviamo oggi. È qualcosa di bello e potente”.