HomeARTICOLIAl MedFilm Festival in concorso 'Sulla terra leggeri' di Sara Fgaier

Al MedFilm Festival in concorso ‘Sulla terra leggeri’ di Sara Fgaier

Roma, 12 novembre (di Giulia Lucchini)- “Una sorta di mosaico emotivo. Volevo creare un collage fatto di materiali diversi con immagini d’archivio dal carnevale sardo a tanto altro”. Così la regista Sara Fgaier al MedFilm Festival dove ha presentato in concorso e in anteprima la sua opera prima Sulla terra leggeri, in sala dal 28 novembre distribuito da Luce.

Presentato allo scorso Festival di Locarno e prodotto da Limen, Avventurosa, Dugong Films con Rai Cinema, il film racconta la storia di Gian (Andrea Renzi), un professore di etnomusicologia sessantacinquenne che lotta con l’oscurità causata da un’improvvisa amnesia. Perseguitato da frammenti di passato, che emergono nella sua mente con l’apparenza sgranata di remote immagini d’archivio, riceve dalla figlia Miriam (Sara Serraiocco), trattata come un’estranea, un diario da lui scritto a vent’anni. Gian si rende conto che ruota tutto intorno a Leila, la donna franco-tunisina con cui ha scoperto l’amore nello spazio di una notte su una spiaggia italiana legandosi a lei con una promessa di futuro, mille volte attesa, mille volte disattesa.

“Ho voluto creare una dimensione in cui rendere partecipe lo spettatore di questa memoria in deterioramento- prosegue la regista-. Ho scritto questa sceneggiatura utilizzando molta voce fuori campo. Il mio è un film molto stratificato con tanti elementi. Mi interessava vedere un uomo che era nel processo di perdersi e raccontarlo con queste allucinazioni e fantasmagoria di immagini che possono parlare a tutti. Non volevo fare un lavoro filologico rispetto alle epoche”.

E Sara Serraiocco: “Sono contenta di aver fatto parte di questo progetto. Sara è stata molto abile nell’inserire materiale di archivio e di repertorio”. Mentre Andrea Renzi commenta: “In questo film c’è un desiderio di ricerca sul linguaggio cinematografico e questo mi ha fatto sentire subito a casa”.
Infine la regista conclude: “C’è l’idea dell’amore come qualcosa che ci può sollevare, ma anche come un rischio perché ci fa sentire sull’orlo di un burrone. Volevo indagare chi siamo in relazione a chi eravamo. Chiunque di noi può far fatica a riconoscersi guardandosi a tanti anni fa. Quella di Gian diventa una lotta per cercare di salvare tutte le persone che siamo state nella nostra vita”.

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