Torino, 8 ottobre (di Giulia Lucchini)- “Non intendo dire assolutamente arrivederci al cinema. Devo ancora fare alcuni film e spero che Dio mi dia la forza e anche i soldi per farli”. Subito rassicura il pubblico e tutti i suoi fan Martin Scorsese venuto a Torino al Museo del Cinema per ricevere il Premio Stella della Mole.
Ora impegnato in Sicilia sul set di un documentario sull’archeologia sottomarina, mentre in cantiere ha un film su Frank Sinatra e uno su Gesù, al quale sta già lavorando, racconta: “Mi piace guardare al mondo antico e sono andato a vedere gli scavi archeologici in Sicilia e volevo capire come funzionava il mondo lì. Sono stato a Taormina, Ustica, e poi Roma. Ora spero di poter tornare in Sicilia per visitare la città dove è cresciuto mio nonno Francesco (ndr. la città si chiama Polizzi Generosa). Spero di avere tutto il tempo necessario per capire da dove arriviamo tutti noi che stiamo a New York e da dove siamo partiti. Il cognome gli americani lo hanno scritto male, sarebbe: Scozzese. Forse è un viaggio sentimentale, ma mi piace pensare a dei film che partiranno da questa mia esperienza”.
Sulla situazione attuale in America e le prossime elezioni (previste il 5 novembre e dove si dovrà scegliere tra Donald Trump e Kamala Harris) dice: “È come in Gangs of New York tra qualche settimana si deciderà se continuare questo esperimento, quello che chiamiamo democrazia, oppure mettere fine a questo esperimento. È un momento che non pensavo avremmo vissuto. Il mio film è stato tragicamente una sorta di previsione azzeccata. Un po’ come una sorta di fantascienza al contrario”.
E sulla violenza, spesso tema importante dei suoi film, dice: “La violenza è parte di quello che siamo. Credo che sia qualcosa di molto essenziale. Faceva parte della storia di vivere in strada. C’è un’attrazione verso la violenza soprattutto da parte dei più giovani. Non lo siamo intenzionalmente, ma non possiamo negare che faccia parte del nostro essere. C’è la violenza della strada, ma c’è anche quella civilizzata che puoi trovare in una riunione o in una banca”.
Da sempre impegnato nella preservazione della memoria del cinema. “Nel 1990 fondammo la Film Foundation e presentammo a ogni capo di studio un volume di film che possedevano- racconta-. Mentre giravo Quei bravi ragazzi mi occupavo anche di questo. Pensai di mettere insieme questi volumi di film per la Warner Bros, Colombia, Universal e così via per poi parlare con i capi delle varie società e contattare gli archivisti, collegandoli con questi studios. Gli archivisti erano sempre considerati una specie di ladri. Noi non siamo ladri bisognava dire. Quello che facevamo era salvare il film e il cinema per poi mostrarli agli studenti. Siamo riusciti a mettere insieme più di 2000 film. Gli studi cambiano gerarchie e di mano frequentemente. Ma ci sono responsabilità verso le generazioni future e nella conservazione di questo patrimonio, penso al Rinascimento e ai dipinti di Rembrandt. Ci sono paesi che non possiedono le infrastrutture per conservare e restaurare, film che hanno ispirato tanti altri registi”.
Tra i primi a fare televisione sul rapporto tra tv e cinema dice: “Quale la forma ideale per raccontare una storia? Un film da 6 ore? Mi sono domandato spesso questo. Ora c’è un pubblico diverso che si siede sul divano di casa e guarda tre o quattro ore di qualcosa che è una storia sullo schermo. Può essere fatto vedere al cinema? Qualcuno ci andrebbe a passarci così tanto tempo? Si possono sperimentare diverse forme in questo momento”.
Infine su Tik Tok precisa: “Me lo ha fatto fare mia figlia. Tutto fa parte della comunicazione e gli strumenti a nostra disposizione sono infiniti”. E poi conclude: “Il cinema si sta evolvendo. È ancora a livello dell’infanzia in un certo senso. Ora il cinema come lo abbiamo conosciuto è cambiato completamente. Può andare in qualsiasi direzione verso i tablet o la realtà virtuale e per esempio ti trovi davanti Amleto”.