Roma, 21 giugno- Più di 500 persone, perlopiù giovani, sin dalle 9.00 del mattino, hanno riempito ieri le sale del Centro Sperimentale di Cinematografia dove, in tre sale, contemporaneamente, si presentavano film di registi libanesi, francesi, ukraini, siriani, per la Diaspora degli Artisti in Guerra, l’iniziativa di tre giorni(19/21 giugno) dedicata ad artisti, cineasti, scrittori provenienti dai luoghi attraversati dalla guerra con incontri, proiezioni e una mostra fotografica e attività di giovani allievi e studenti. “Le tre parole del titolo, diaspora, artisti, guerra, sono state ascoltate con un entusiasmo, un’attenzione e un bisogno che mi hanno emozionato profondamente” ha detto Sergio Castellitto Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia, dopo aver aperto la manifestazione. “E’ la prima volta che la scuola di cinema più antica del mondo apre le sue porte al pubblico”.
Alla fine della prima giornata, in un Teatro Blasetti completamente pieno di studenti, spettatori e autori di cinema (Gabriele Muccino, Alba Rohrwacher, Mimmo Calopresti, Francesca Comencini, Francesca Calvelli, Giovanna Gagliardo, tra tanti) si è svolto un lungo ed emozionante dialogo tra Margaret Mazzantini e lo scrittore israeliano David Grossman che ha affrontato di petto anche il drammatico momento di guerra e conflitto tra palestinesi e israeliani. Alla domanda della Mazzantini (“Se per un assurdo gioco chiudessi gli occhi, e fossi una giovane donna incinta nei vostri territori, e dovessi decidere dove far nascere mio figlio oggi, se in Israele o in Palestina, direi senza dubbio in Israele, perché mentre per Israele si può immaginare un futuro, per la Palestina proprio non si riesce a vederlo. Perché il problema delle macerie non è sgombrarle, ma quello che è rimasto sotto. Secondo te chi camminerà sopra queste macerie?”), Grossman ha risposto: “La rappresaglia israeliana che è seguita all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, io penso sia stata sbagliata. Ma è umano reagire: se qualcuno mi dà uno schiaffo per strada io, istintivamente, reagisco dandogliene un altro. Ma dopo questo istinto di vendetta, che è umano, il problema è chiedersi se ha senso continuare questo circolo vizioso in eterno. O se invece non bisogna cercare di usare questa sorta di trauma collettivo subito da entrambe le parti per superarlo. Se io fossi il braccio destro di Netanyahu, convocherei tutti i capi palestinesi per cercare un negoziato che ponga fine a questa guerra: è molto più facile attaccare e arrendersi alla vendetta”.
Dall’ Ucraina, al Libano, alla Siria sono stati in scena nel corso della prima giornata autori e film che hanno affrontato storie e paesaggi di alcune delle aree del mondo più tormentate da conflitti e guerre interminabili. Klondike di Marina Er Gorbach e Mehmet Joreige, è un film ucraino e turco la cui storia si svolge nel luglio del 2014 nelle vicinanze della città di Donetsk, nel Donbass, al confine dell’ucraina orientale con la Russia: è la storia di una famiglia che viene improvvisamente scossa dall’abbattimento del volo di linea MH17, avvenuto a pochi metri dalla loro abitazione. I protagonisti, in attesa di un bambino, si trovano ad affrontare le conseguenze della guerra che invade le loro vite e la loro casa. “La guerra in Ucraina era cominciata già nel 2014 e non è stato facile realizzare il film, tuttavia ciò che conta nel cinema sono i sentimenti che lo spettatore prova e che sono destinati a rimanergli dentro. Il film è un triangolo tra l’idea del regista, ciò che realizza e la percezione che lo spettare matura” ha detto Marina Er Gorbach dopo la proiezione del film in conversazione con un folto pubblico di giovani. “Per poter continuare a vivere e far resistere la realtà, bisogna continuare a vivere e raccontare storie attraverso il cinema. È il cinema che ci dà la forza di resistere e di esistere. Il cinema produce vita.” han detto invece Khalil Joreige che insieme a Joana Hadjithomas ha diretto il film franco libanese, Je veux voir, che vede come protagonisti Catherine Deneuve e Rabih Mroué. E’ la storia di un’attrice francese che visita il Libano nelle zone devastate dal conflitto israelo-libanese del 2006. “Quando abbiamo riguardato per la prima volta ciò che avevamo filmato, abbiamo capito che c’era della bellezza non rappresentata dai telegiornali e che poteva essere parte di un film, diventare cinema” ha detto Saeed Al Batal conversando con il pubblico dopo la proiezione del film che ha diretto con Ghiath Ayoub, Still Recording: 500 ore di girato, montato in un documentario e contrabbandato attraverso la Siria per raggiungere il Libano e poi l’Europa. “Un film che racconta le verità che il presidente Al Assad lottava per tenere nascoste”. I film e le conversazioni con il pubblico si sono svolte al Centro Sperimentale in tre sale (Aula Magna, Sala Cinema, Teatro Blasetti) che sono state appositamente allestite e ristrutturate per l’accesso e la fruizione del pubblico.
Sala affollatissima anche per la lectio magistralis del Cardinale Ravasi su “L’arte oltre la bufera del male”, Attraverso una affascinante ricognizione in un capolavoro del cinema, Andreij Rublev di Andreij Tarkowskij che ricostruisce la vita del più grande pittore di icone del XV secolo la cui arte istoria tutt’oggi il Cremlino, Ravasi ha parlato della “impotenza dell’arte nei confronti del male”, della “ondata sanguinaria che stria le pietre”, di lutto dolore affanno morte, che rendono impossibile “cancellare le lacrime dagli occhi degli uomini”, e del rischio che corre l’arte nel vivo di questi conflitti che incendiano la storia anche oggi. “Non esisterebbe la letteratura senza il male – ha detto – Noi stessi teologi non sappiamo cosa rispondere parlando del male degli innocenti. Ma buona parte del male nasce dalle nostre mani”. Passando da Tarkowskij a Bresson da Dostoewskij all’Apocalisse di Giovanni, Ravasi ha incantato con leggerezza e ricca profondità una platea composta per lo più da giovani.
Il fil rouge della seconda giornata è “Lo sguardo del cinema italiano sulle guerre” grazie alle testimonianze di Elda Ferri, Costanza Quatriglio, Francesca Mannocchi, Giacomo Abbruzzese, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, Stefano Savona, Jean Mallet, Giulia Tagliavia, Rami Elhanan e Bassam Aramin. Domani 21 giugno sarà messo in scena un vero e proprio percorso “Nei paesi di guerra”: a raccontarlo saranno presenti Aleksandr Sokurov, Hagai Levi, Mohamed Kordofani, Sahraa Karimi, Ali Asgari, Yervant Gianikian e Lucrezia Lerro, Dieudo Hamadi, Dieudo Hamadi e Jasmila Zbanic. Nel corso dell’evento sarà allestita inoltre la mostra “Diaspora delle donne” a cura di Antonella Felicioni: un percorso espositivo che si apre con Anna Magnani e Sophia Loren, accompagnato da registe del calibro di Lina Wertmüller e Liliana Cavani, per proseguire con Claudia Cardinale e concludersi con una costellazione di attrici come Rosanna Schiaffino, Giovanna Ralli, Lucia Bosè, Clara Calamai, Gina Lollobrigida e Silvana Mangano. La mostra celebra i ruoli che la donna è chiamata con forza ad interpretare, e ne fotografa i contesti, i sentimenti, le scelte, le guerre al di là di ogni giudizio.
Durante le tre giornate allievi e studenti saranno impegnati nella realizzazione di un film testimonianza, coadiuvati dai docenti, che racconterà tutti gli incontri e momenti salienti, mentre gli allievi del corso di Recitazione del terzo anno del CSC saranno impegnati nella lettura e interpretazione, in un apposito spazio (nell’aula Recitazione 3, alle 11.00 e alle 15.00 durante tutte la tre giorni), di testi di prosa e poesia legati ai temi e ai Paesi delle opere in programma in Diaspora. Diaspora degli artisti in guerra è finanziato da fondi PNRR e pone il Centro Sperimentale di Cinematografia come soggetto partecipe e propulsore di un confronto volto a un auspicato cambiamento, con specifica attenzione alla formazione e alla creatività.