Torino, 25 novembre (di Giulia Lucchini)- “Volevamo riflettere su cosa spinge la gente ad andare nei centri commerciali per il black Friday e su cosa spinge gli attivisti a manifestare per il clima”. A dirlo è il regista Olivier Nakache che ha presentato in apertura della 41esima edizione del Torino Film Festival fuori concorso il suo nuovo film: Un anno difficile. Girata in coppia con il suo sodale, Éric Toledano, la nuova commedia dei registi di Quasi Amici, nelle sale dal 30 novembre distribuita da I Wonder, racconta la storia di Albert e Bruno (interpretati da Jonathan Cohen e Pio Marmaï), due simpatici scrocconi sempre al verde, che nel tentativo di imbucarsi a un aperitivo si trovano coinvolti nelle attività di un gruppo di eco-attivisti capitanati da una giovane ragazza, interpretata da Noémie Merlant. Tra inganni, maldestri sotterfugi e sgangherate azioni di protesta, per i due amici sarà forse l’occasione di redimersi e rimettere ordine nelle proprie vite.
Tra consumismo e ambientalismo si ride sull’ecoattivismo e su temi attuali, riportandoli all’attenzione di tutti. “Non ci siamo chiesti all’inizio se trattare l’argomento con un determinato tono- racconta Olivier Nakache-. È vero che noi in un certo senso usiamo sempre il tono della commedia. Questa è anche una storia drammatica che tratta un tema molto delicato. Ma il riso è la nostra chiave e è anche il modo attraverso il quale gli esseri umani possono entrare in comunicazione”.
E poi: “Per tre mesi abbiamo partecipato alle riunioni degli attivisti e abbiamo seguito le loro lotte e le loro iniziative per capire al meglio le loro motivazioni e le loro azioni. Volevamo tratteggiare in modo corretto questi personaggi senza farne una caricatura. Gli altri due personaggi sono due precari che non riescono ad arrivare alla fine del mese e sono costretti a fare due o tre lavori diversi. Da un lato c’è chi cerca di salvare il mondo, dall’altro chi cerca di salvare sé stesso. Due realtà che appartengono alla nostra città e che sono in contrasto. Volevamo provare a sorridere di queste situazioni. Vero è che noi dobbiamo cercare di ridurre il nostro consumo di anidride carbonica”.
Sicuramente anche il Covid ha influenzato in qualche modo la sceneggiatura. “Ha avuto un ruolo importante perché ha provocato uno shock in tante professioni creative e ha generato riflessioni e cambiamenti. La storia che volevamo raccontare coglieva la contemporaneità che stavamo vivendo. Abbiamo quindi cambiato un po’ il nostro progetto pur avendo chiaro fin dall’inizio che non avremmo mai fatto un film sul Covid. Questa sospensione della realtà che abbiamo vissuto ha portato tutti noi a metterci in discussione. Ci hanno poi colpito una serie di immagini come quando la gente usciva la sera sui balconi per applaudire. Poi abbiamo iniziato a riflettere sul consumismo e sull’avere di meno”.
Infine conclude: “L’immagine del ponte ci ha guidati e condotti. È il concept del film. Il ponte ci spinge a chiederci da che parte stiamo di questo di due rive. La scena finale è stata girata alla fine del Covid in una Parigi vuota e deserta. È stata una scena complicata da girare, un momento di poesia, onirico, una fine aperta. Il nostro amore per la sala cinematografica è infinito e pensiamo che sia un luogo dove creare ponti. Ridere e provare emozioni insieme a tanti sconosciuti è davvero una medicina straordinaria”.