Venezia, 7 settembre- “Questa storia è lo specchio delle persecuzioni nel tempo e dell’incapacità dell’uomo di capire la diversità che invece a mio avviso è un grande valore”. A dirlo è il regista Giorgio Diritti che ha presentato in concorso a Venezia 80 il suo nuovo film: Lubo.
Uscirà in sala il 9 novembre con 01 distribution e racconta una vicenda storica che pochissimi conoscono. “Un po’ di anni fa un’amica mi parlò del romanzo Il seminatore di Mario Cavatore- dice il regista-. Questo libro mi colpì perché raccontava questa vicenda particolare e vera avvenuta in Svizzera. Un paese normalmente associato alla democrazia, alla civiltà e alla cultura. L’ azione di rieducazione dei bambini portati via dalle famiglie Jenisch mi ha decisamente provocato. Certe volte si dice nasce l’urgenza di fare un film. Da lì è nato un percorso che si è sviluppato in anni di ricerche fino ad arrivare alla realizzazione del film. Un grande viaggio nel tempo in luoghi magici. Volevo raccontare una storia utile al mondo per fare in modo che certe cose non si ripetano”.
La storia è questa: Lubo (Franz Rogowski) è un nomade, un artista di strada che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di prendere i loro tre figli piccoli, strappati alla famiglia in quanto Jenisch, come da programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada (Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse). Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti i diversi come lui.
“Ho cercato di stare molto su Lubo per raccontare la storia di un uomo al quale arriva addosso qualcosa di drammatico che gli modificherà tutta la vita. Un uomo che vive l’angoscia della disperazione e della solitudine, ma che vuole comunque tornare ad amare”, specifica il regista.
Nel cast anche Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noémi Besedes, Cecilia Steiner, Joel Basman, Philippe Graber e Massimiliano Caprara.
Infine conclude: “Questo è un film che racconta anche i nostri giorni. Siamo molto vicini a una guerra che dura da mesi. Un po’ di mesi fa si raccontava dei bambini ucraini rapiti dai russi. Purtroppo uno dei limiti dell’umanità è che gli errori ritornano. La necessità di raccontare questa storia era anche per dare un segnale politico, non nel senso di istituzionale, ma nel senso di sensibilizzare le persone affinché abbiano un atteggiamento vigile e attento a tutti quegli elementi che sono contro la vita come sradicare dei bambini dalle proprie famiglie. Il film ci racconta poi come nascono le catene del male, dopo aver subito delle violenze”.